i Librai di Montereggio
Montereggio è protagonista di una delle storie più interessanti di tutta la Lunigiana. Con la bella stagione gli uomini di Montereggio partivano dal piccolo paese con la gerla piena di libri e raggiungevano prima Pontremoli, poi la pianura, per andare a vendere la loro “merce” nelle città”del Nord”, dove peregrinavano a lungo, fino all’inizio della stagione invernale, quando ritornavano a casa. Il primo, nel Cinquecento, fu Sebastiano da Pontremoli, che si trasferì a Milano dove apprese l’arte della stampa. Lo seguirono altri, come i Viotti, suoi compaesani, che a poco a poco aprirono anche una bancarella. Piano piano la fama dei librai si estese oltre la valle e, con l’aumento del lavoro, molti andarono a portare i libri sempre più lontano, fino in Germania.
I Viotti, ad esempio, proseguirono l’attività per molte generazioni nel XVI e XVII secolo e, sul loro esempio la schiera dei librai di Montereggio si allargò arrivando al massimo sviluppo nell”Ottocento. Molti di loro non sapevano leggere ma capivano comunque l’importanza della “merce” che trattavano. Offrivano almanacchi, lunari e spesso libri “proibiti”, fatti circolare clandestinamente di Stato in Stato (i librai vendevano anche pietre da rasoio per poter occultare alla polizia austriaca gli scritti dei più noti patrioti).
Da ambulanti con la gerla sulle spalle diventarono ben presto bancarellai, molti aprirono vere e proprie librerie, altri diventarono editori. Ad esempio Maucci che avviò due librerie a Buenos Aires e a Barcellona e, per primo, stampò in lingua spagnola le traduzioni dei classici.
Ad oggi circa 150 dei loro discendenti posseggono importanti librerie, come i Ghelfi, i Bertoni, i Fogola oppure i Tarantola a Milano, Brescia e Venezia e ancora i Lazzarelli a Novara.
A Montereggio nel 1952 diedero vita al “Premio Bancarella”, destinato a diventare uno dei premi letterari più ambiti in Italia.
Grazie allo stretto rapporto mantenuto con il paese d’origine, queste famiglie hanno fatto di Montereggio uno dei borghi meglio conservati della Toscana spesso ravvivato da eventi legati al mondo editoriale. Ad ulteriore conferma del legame esistente tra Montereggio e la letteratura, una curiosità: le strade che portano al monumento al libraio, vicino alla chiesa fortificata di Sant’Apollinare, sono tutte dedicate ai più celebri editori italiani: Borgo Feltrinelli, Piazza Mondadori, Via Einaudi etc.
CARMEN TARANTOLA
Dei bisnonni non mi ricordo, i nonni me li ricordo. Loro da giovani, dopo essersi sposati, andavano in giro con il carretto e con il cavallo perchè allora era così il libraio. Mi ricordo che mio papà ha girato tutto il Piemonte con loro e hanno girato quasi tutta l’Italia settentrionale. D’inverno però venivano a casa, a novembre venivano a casa e ci stavano per tutto il mese perchè c’erano le castagne, c’era il maiale, allora c’era più gente e c’era più roba. Mio papà poi ha continuato questo lavoro; quando si è sposato con mia mamma, mia mamma è nata a Castiglione delle Stiviere però anche lei era in giro con i genitori con il carretto e i cavalli, poi si sono ritirati qui e mia mamma ha vissuto qui fino a sedici anni poi ha preso ed è andata a Milano, il nonno ha messo su una libreria in Via Torino; allora c’erano già cinque figli, ha preso una casa, una villetta in via Pasquale Sottocorno e lì a portato tutta la famiglia; mia mamma è stata lì da sedici anni in poi, poi a vent’anni si è sposata con mio papà e allora han preso e messo su un banco di libri a Porta Venezia, dove una volta c’era il confine della città; sono sempre stati in questa città. Un giorno, io avevo undici anni, mia mamma aveva una sorella che faceva i mercati a Vigevano, Mortara in quei posti, mia mamma lavorava poco a Milano perchè un banchettino non è che tirasse molto, han tirato avanti come han potuto. Sua sorella allora le ha detto: Ida perchè non vieni da me a Vigevano a fare il mercato, vieni che è buono. Una mattina, un sabato mattina, mia mamma ha comprato dieci volumi della Casa Editrice Bario. Siamo arrivati a Vigevano e non avevamo il posto, allora non c’era il posto fisso, chi arrivava, allora il vicino che c’aveva tutto il muro del Duomo di Vigevano tutto pieno di quadri, ha tolto un quadro, ci ha dato due cavalletti e un asse e da lì abbiamo messo su un metro quadrato giusto di libri. Quando è stata la fine abbiamo venduto metà libri, abbiamo preso i nostri soldi e ce ne sono avanzati altri metà. Abbiamo continuato io e mia mamma per un po’ di tempo, poi mio papà, il sabato chiudeva a Milano e andava lui con mia mamma perchè io dovevo andare a scuola, ero ancora piccola. Per farla corta, siamo arrivati a venti metri di banco, dieci davanti e dieci dietro. A un certo punto sono tornata anch’io ad aiutarla, poi mi sono sposata e quando ho avuto dei figli ci andava lui, quando era libero di servizio. Così abbiamo fatto fino al 1985.
ELENA GIOVANACCI
Dormivano sul carro, avevano un materasso, se lo portavano dietro e lo stendevano la sera e di dietro ci mettevano le casse dei libri, quando mettevano dentro il banco e su ci mettevano il materasso e poi ci dormivano in due. Mio papà e mio nonno andavano via da soli, mio papà ha portato via anche mia mamma e ci piaceva poverina andarci ma poi c’aveva i figli, ogni due o tre anni aveva un figlio e allora non poteva andare nel carro con il bambino piccolo. Quelli che rimanevano a casa lavoravano i terreni, mia mamma ci andava anche lei, aveva una cognata che non era sposata, ci lasciava i bambini a guardare poi veniva a casa quando era mezzogiorno, ci preparava da mangiare quella cognata. Nei campi seminavano di tutto, il grano, il formenton noi lo chiamiamo: il granturco, le patate, i piselli, tutto quello che si poteva avere. Però gli orti come ci sono adesso non c’erano allora, gli ortaggi, tutta la ver-dura come facciamo adesso non c’era; seminavano due cipolle, un po’ d’aglio. Raccoglievano le castagne, d’inverno le macinavano, mangiavano la polenta di castagne, la pattona, si chiamava la pattona, si faceva nei testi. Di carne se ne mangiava poca, se non ne avevano in casa da ammazzare, a prendere la carne non ci andavano; non c’era il benessere per il mangiare qua, c’era miseria.
FERRUCCIO BARDOTTI
Molte città del centro nord: Torino, Milano, Genova, Bergamo, Venezia, Bolzano, Piacenza hanno tutte un libraio montereggino. Il commercio del libro dei montereggini si è fermato in Italia invece quello di Parana è andato all’estero; quindi noi abbiamo perso il contatto con le nostre radici, loro le hanno conservate.
Ricordo che c’erano i Fogola di Pisa, loro, siccome Pisa è sede universitaria quindi di professori, di solito i professori universitari non si sposano mai, si accoppiano con la donna di servizio, quando muoiono, queste povere donne vendono tutto. Loro andavano, guardavano gli avvisi, morto il professor tale, si presentavano alla porta dicevano me li vende questi libri che tanto lei cosa se ne fa, e se li facevano rimettere a posto, rilegare, pulire ecc. e diventavano dei libri rarissimi e quindi carissimi; questo lo facevano i Fogola di Pisa e anche altri penso; erano tutte furberie, astuzie e riuscivano ad avere questi libri rari che non si trovavano dalle altre parti.
All’inizio, quando c’erano ancora gli ambulanti, per rifornirsi di libri andavano a Mila-no. Qui alla Piana, da mio nonno, veniva Angelo Bietti, l’editore di Milano; mia madre mi ricordava che suo padre aveva fatto tappezzare con la carta tutta la casa e che questo Angelo Bietti gli aveva insegnato a fare il risotto alla milanese con lo zafferano; perchè venivano, gli editori li seguivano perchè era gente che acquistava, sì, Angelo Bietti è stato alla Piana e allora era un grosso editore.
I librai erano molto stimati dagli editori perchè erano dei grandi venditori quindi erano dei clienti favolosi per l’editore e li andavano a cercare insomma; è come adesso, Bancarella, bello o brutto vende centomila copie.
A Parana non erano però tutti librai, prima erano pastori poi piano piano quando han dovuto andare fuori sono andati all’accattonaggio poi piano piano con quello che raccoglievano hanno messo su una piccola attività, chi vendeva i libri, chi vendeva le pietre, chi vendeva le chincaglierie ecc.
Prima della guerra a Parana ci saranno state duecento o trecento persone, le famiglie le lasciavano qui, quindi facevano l’allevamento del bestiame, pecore, capre qualche mucca, maiali, il maiale era una ricchezza per una famiglia, chi aveva il maiale era un signore; da servi sono diventati autonomi, uomini liberi.
GIULIANA MOLINARI
Io sono nata a Piacenza, mio padre è nato a Montereggio, mio nonno, mia mamma. Sono tornata qua da bambina, sono venuta quasi sempre. Siamo legati lo stesso a Montereggio, mia mamma era molto affezionata, l’unico posto dove veniva era qua. La prima volta che sono venuta qua non andavo ancora a scuola, ci si fermava fino ad ottobre, avrò avuto quattro o cinque anni. La strada fino a Montereggio non c’era ancora, ci si fermava giù al ponte e si faceva la strada a piedi fin su, con la nostra valigetta, con le nostre borse che si usavano allora e si veniva su a piedi. A me piaceva moltissimo venire a Montereggio, mio fratello poi era eccitato un mese prima all’idea di venire a Montereggio perchè si trovava libero, lui che è scatenato, e l’idea di venire a Montereggio c’era venuto anche a piedi. Anche i miei figli sono molto attaccati a questo paese e questo attaccamento gli è stato trasmesso dalla nonna, perchè mia mamma veniva solo qua, non si poteva parlare di andare in un altro luogo di villeggiatura perchè noi nel piacentino abbiamo tante colline, tante montagne ma lei voleva venire qua e da nessuna altra parte.
RAFFAELE BERTONI
Hai fatto il libraio ambulante.
Ambulante e fisso, ho fatto tutti e due. Escluso per aria! Sono andato con mia sorella che era libraia all’età di nove anni, ma oramai non me lo ricordo neanche più gli anni che avevo, non me li ricordo più.
Per quanti anni ha fatto il venditore con il carro…
Le date, chi è che sa le date…
Più di cinque o sei anni, sono di più. Fino al ’50 avrai fatto con il carro, o no? Anche di meno. Quando hai preso la macchina?
La macchina quando ha preso la bottega il suocero suo…
Sessant’anni fa, prima della guerra, sì. Prima è andato con sua sorella, che sarebbe sua suocera, è stato con lei fino a che età… Fino a che anno: fino a che non si è sposato. Fino a ventisei, ventisette anni. Poi ha preso il cavallo ed è andato per conto suo, si era sposato… Glielo ha dato suo cognato, che sarebbe suo suocero. Faceva l’ambulante, il libraio anche lui. Ha aperto un negozio prima a Ferrara, poi a Vicenza, in tempo di guerra, del ’14, e poi è venuto a Venezia, dove c’è ancora la libreria.
L’ho tenuto per quindici anni.
Aveva il carretto e andava via…
Andavo a girare, fino a Roma. Dopo Roma non sapevano, non sanno mica leggere.
Adesso sì, ma allora purtroppo… Poi ha preso la macchina, ha preso la Balilla, poi la famigliare e ha fatto ancora un po’, ha girato un bel po’ con la macchina. Prima la Topolino.
Poi la macchina, la Topolino. Prima color verde.
Per mangiare andavi all’osteria…
E già, o un panino.
E dormire? Dormivi sul carretto! O anche sotto al banco quando facevano le fiere.
Il letto l’ho visto poche volte.
Non ha fatto mica una bella vita, anche se ha novantasei anni…Dopo abbiamo preso la bottega ad Udine e ci siamo stati ventidue anni. Era un locale, sÏ, noi avevamo l’entrata libera ed era lungo quattordici metri. Ed era un locale del municipio, sopra noi, noi eravamo a pianterreno, sopra c’era la biblioteca comunale. Era in un bel posto, sul centro quasi, sulla strada principale, il posto era bellissimo. Ci siamo stati ventidue anni, poi sono saltate fuori le storie, lÏ ci voleva il registro, lÏ ci voleva il computer, lì ci voleva il registratore, e poi c’erano un mucchio di ladri ad Udine, specialmente studenti. Allora lui ha detto, aveva settantasei anni, settantasette, qui è meglio che qui piantiamo tutto. Lui aveva la pensione, io avevo la pensione, abbiamo tirato ancora avanti un paio d’anni per sbolognare un po’ di roba, perchè avevamo tanta roba, poi la rimanenza l’abbiamo data a loro a Venezia, e noi ci siamo ritirati qua, e sono vent’anni che siamo qua.
D’inverno i librai tornavano, partivano in primavera e d’inverno, a novembre torna-vano. Stavano qua due o tre mesi, poi andavano via.
Qua a Montereggio c’erano sei o sette osterie, e adesso non ce n’è neanche una. Erano sempre piene, e non c’erano liquori, bibite, c’era vino solo. E allora erano ubriachezze, tutti ubriachi.
Era una gran festa quando tornavano i librai, perchÈ d’inverno si ritrovavano tutti, perchÈ andavano via anche loro con il cavallo e il carretto, e d’inverno quando venivano si portavano via il cavallo e il carretto lo lasciavano in quei paesi sopra Pontremoli. Dopo, quando ripartivano, andavano lÏ con il cavallo e si riprendevano il carretto e ricominciavano di lÏ a vendere.
Chi faceva questo lavoro era visto bene, perchè venivano e portavano anche notizie, parlavano sempre di cose nuove che trovavano in giro, e allora si ascoltava. Poi quando veniva Pasqua partivano. Anche prima, a secondo di come capitava Pasqua. In primavera tornavano via. Per il venti di gennaio erano tutti a casa. In tanti venivano anche ai primi di novembre, per i Santi, i Morti, poi aiutavano a raccogliere le castagne e intanto era inverno, anche andare a dormire in albergo non avevano mica i soldi.
Sì che vendevano, ma erano anche in tanti, uno andava in una città, un altro in un’altra città, ma il libro comunque era un lusso, prima bisognava pensare a mangiare.
Nel negozio a Vicenza stava mia suocera, perchè aveva i bambini. Perù lui, con mio suocero, andavano sempre in giro a fare le fiere, i mercati…
Un po’ con il cavallo, un po’ senza cavallo, con il treno.
SILVANA DI BATTISTI
Ai primi del Novecento è partita da Montereggio la mia nonna Giovannacci Giuseppina vedova Galleri con un cavallo, un carretto ed è partita con quattro figli di cui il maggiore mi sembra che avesse circa sette-otto anni, non mi ricordo con precisione, e sono andati in Toscana, verso Forte dei Marmi e poi si son fermati a Lucca. A Forte dei Marmi non so avranno fatto i mercati prima e alla fine si sono fermati a Lucca, hanno aperto il negozio che poi ha tenuto il figlio maggiore perchè le sorelle poco per volta si sono sposate e il minore non ha voluto saperne di fare il libraio. Mio zio penso che avesse come scuola la quinta elementare, la licenza elementare non di più, hanno gestito sempre questa libreria e poi è successo che di lì partivano e facevano spesso le fiere, anche a Forte dei Marmi, nei mesi estivi, con un gran banco e vendevano libri; per questo mia nonna ebbe la Gerla d’oro alla memoria nel 1972. Da parte mia invece, mia madre figlia di questa Giovannacci Giuseppina, si sposò con Di Battistini Pietro e si trasferirono dapprima a Voghera in provincia di Pavia, e lì fecero invece un altro commercio, un commercio di borse, pelletterie, chincaglierie, ma mio padre prima di sposarsi con mia madre e di fermarsi a Voghera, era partito anche lui con la cassetta a vendere di casa in casa di paese in paese, sotto le maestranze di un tizio che era venuto qui in paese e aveva scelto due o tre volenterosi che volevano crearsi un avvenire diverso da quello che offriva Montereggio. Io poi mi sono a mia volta sposata con un libraio a Voghera che a sua volta era partito di qui e si era fatto le ossa con i cugini di Verona che hanno tuttora libreria e galleria d’arte a Verona e lui si trasferì a Padova, ci sposammo, andammo a Padova e aprimmo una libreria in Piazza del Duomo; è quella libreria in cui hanno girato il film “La moglie del prete”, alcune scene del film con Mastroianni e la Loren; quella fu un’esperienza molto particolare perchè mi ricordo che mio marito, a parte la confusione per girare quelle tre o quattro scene fecero tutti i componenti della troupe, si trovò molto bene perchè poteva parlare e conversare con loro di vari argomenti perchè questi librai che sono partiti con la licenza elementare in fondo poi, nelle varie città in cui sono andati, sono stati apprezzati e stimati da tutti, dal cliente comune che si rivolgeva a loro per avere un consiglio, sino alle grandi autorità religiose e civili delle città in cui sono stati; quello che è successo a mio marito mi risulta che è capitato un po’ a tutti, di trovarsi molto bene e di inserirsi in questo tessuto sociale molto diverso dal loro e di dare loro un apporto e riceverlo perchè io mi ricordo che in occasione della morte quasi improvvisa, anche se dovuta ad una malattia, ricevetti delle testimonianze di affetto di stima, di amicizia da tutti da molte parti degli abitanti di Padova di vario genere. Questo vuol dire che andavano a vendere libri non così ma con la loro personalità lasciavano un’impronta in queste città, questo significa che, secondo me, non è stato vendere libri come vendere maglie, è stato proprio una scelta vocazionale direi, è questo che è importante.
TERESA RINFRESCHI
Io mi ricordo che mia mamma mi diceva che il nonno Franceso e il nonno Antonio andavano via per i libri e il nonno ancora prima non sapeva nè leggere nè scrivere. Partivano di qua, si facevano la zaina, quella zaina che c’è lì in piazza, piena, qui la chiamano la pattona, castagnaccio, per quindici giorni non ritornavano; e poi anche quella di meliga fatta così di meliga e se la portavano via. Andavano tutti a piedi sulla Cisa, andavano a vendere i libri. Tutti si sono fatti la strada, tutti si sono fatti un negozio di libri. I primi librai si muovevano anche con il carretto con l’asino ma delle volte anche a piedi; andavano sempre da soli, la famiglia restava qua. Il mio bisnonno non sapeva nè leggere nè scrivere eppure è andato a vendere i libri. I miei cugini Maucci andavano a vendere le prede, le pietre, che prendevano a Casale Monferrato, andavano via in tutto il mondo; qui c’era la casa piena e gli uomini andavano a lavorare via e poi tornavano a casa, avevano tanti figlioli. Mio padre non ha fatto il libraio, forse non ne aveva tanta voglia, mio nonno sÏ ma mio padre era tutto un altro affare, mio padre era qua, faceva l’agricoltore perchè il paese era popolato quando io ero giovane, ora invece è diventato morto ma una volta c’era tanta di quella gente; c’erano tre feste da ballo, mio padre aveva il tabacchino, aveva l’osteria poi aveva i muli perchè faceva il conducente qua. Mio fratello è andato in Francia, quell’altro si è sposato, siamo tutti partiti così. Mia mamma l’ho portata via con me a Torino con mio papà, cosa facevano qui da soli! Non c’era più niente. Qua mio papà coltivava la campagna, seminava grano, patate, pomodori poi avevano i castagneti, se ne ho raccolte di castagne io! Di animali avevamo il maiale, conigli, gal-line. Ma quando si vede che non si guadagna, si va via.